Andrea Bramati

sbandato dopo l’8 settembre

Da una intervista di Giuseppe Meroni a Andrea Bramati, pubblicata su Il Punto di Villasanta nel mese di Aprile del 2012:

Andrea Bramati, il partigiano di San Fiorano
“Sono nato il 12 settembre del 1923 a Villa San Fiorano, sei anni prima della fusione del paese con La Santa e, quindi, prima della costituzione di Villasanta. Dopo le scuole elementari e qualche lavoretto saltuario da apprendista sono stato assunto alla Colombo e Cremona. Nel 1943, in piena guerra, mi chiamano alle armi. Ho 19 anni e parto per Roma-Nettunia dove frequento la scuola di artiglieria dell’esercito. L’8 settembre mi trovo a Genzano, nei dintorni di Roma, ed è a questo punto che cominciano i due anni più avventurosi e drammatici della mia vita”.

Andrea Bramati non dimostra affatto i suoi quasi 89 anni e ricorda con lucidità, documenti alla mano e un po’ di commozione nel cuore, quegli anni lontani che sconvolsero o troncarono la vita di molti giovani come lui. L’8 settembre 1943 è una data cruciale nella storia italiana. Mussolini era stato deposto quaranta giorni prima, il 25 luglio e, dopo peripezie varie, si trovava in Germania; il 19 luglio papa Pio XII aveva lasciato per qualche ora il Vaticano e si era recato a visitare il popolare quartiere di San Lorenzo bombardato dagli alleati.
Il re, Vittorio Emanuele III Savoia, aveva affidato il governo del paese al Maresciallo Pietro Badoglio. Dopo lunghe trattative e lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate, era stato firmato l’armistizio. L’8 settembre, i tedeschi da alleati diventano nemici, i Savoia lasciano Roma e si rifugiano a Brindisi, l’esercito italiano, senza direttive, è allo sbando.

SBANDATO DOPO L’8 SETTEMBRE 1943
L’artigliere Bramati quel giorno è a Genzano, Castelli romani. Capisce al volo, come molti suoi commilitoni, che in Italia è accaduto qualcosa di veramente importante e che bisogna agire rapidamente. Lascia la caserma dopo aver sabotato quel che era possibile (ci sono i tedeschi lì vicino), trova abiti civili presso i contadini della zona e scende a Roma.
Meta la stazione ferroviaria che in quelle ore è una specie di grande circo dove vanno e vengono migliaia di persone alla ricerca di un treno e dove si vedono già squadre di soldati tedeschi alla ricerca di militari italiani che hanno buttato la divisa. Con circospezione Bramati riesce a prendere un treno per Milano e da qui, senza uscire dalla stazione, uno per Monza per poi raggiungere San Fiorano a piedi. Arriva a casa il 12 settembre, giorno del suo ventesimo compleanno. Da metà settembre ‘43 all’aprile ’44 Bramati rimane a casa godendo di una certa libertà di movimento ma facendo attenzione a non farsi vedere troppo in giro.
I fascisti, nel frattempo, si erano riorganizzati anche a Villasanta. Gli iscritti al partito che sosteneva la Repubblica sociale di Salò erano molto pochi, non più di dieci e in casa di uno di questi, Osvaldo Marzagalli, (poi fucilato a Vimercate dal tribunale del popolo a guerra finita), la madre di Andrea Bramati andava, come si dice, a “fare i mestieri”.
Sarà Marzagalli a consigliare a Bramati di stare nascosto, soprattutto dopo l’ennesimo rifiuto di arruolarsi nell’esercito della RSI. Così Bramati, dall’aprile all’ottobre del ’44, se ne sta nascosto alla cascina Ribona, a Valaperta, frazione di Casatenovo.

QUATTRO PARTIGIANI FUCILATI A VALAPERTA
Natale Beretta, 25 anni, di Arcore, Gabriele Colombo, 22 anni, di Arcore, Mario Villa di Biassono, Nazzaro Vitale di Bellano vengono fucilati a Valaperta il 3 gennaio 1945 (sotto a sinistra la lapide a ricordo). Sono accusati di avere ucciso, il 23 ottobre del ’44, Gaetano Chiarelli, milite della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.) di Missaglia.
A sparare al fascista è, per sua ammissione, Nazzaro Vitale. Sul posto arrivano le Brigate Nere di Missaglia tra cui il comandante delle stesse, Emilio Formigoni, padre di Roberto, attuale presidente della Regione Lombardia.
I brigatisti neri appiccano il fuoco ad alcune cascine e a molte stalle. E’solo un mese dopo che vengono individuati e arrestati i partigiani ritenuti colpevoli dell’uccisione di Chiarelli. Sono portati a Merate e poi a Como per un processo che non avverrà mai.
Agli abitanti di Valaperta, accusati di aiutare i partigiani, vengono tolte le tessere annonarie per tre mesi.
Poi, il 3 gennaio, la fucilazione di Beretta, Colombo, Villa e Vitale. Senza processo né sentenza, i fascisti hanno stabilito che ad uccidere Chiarelli erano stati i quattro.
Oggi sulla strada che da Valaperta porta a Lomagna, un cippo semi-nascosto da una curva e dal bosco ricorda l’eccidio. Dal 1946, ogni 3 gennaio, l’ANPI e i comuni di Casatenovo, Arcore, Bellano e Biassono danno vita a una manifestazione commemorativa dell’episodio.

CATTURATO, A SAN VITTORE E POI IN GERMANIA
“A ottobre – racconta Andrea Bramati – torno a San Fiorano senza farmi notare troppo in giro. Quell’autunno fu particolarmente duro: poca roba da mangiare, poco da mettere nelle stufe per scaldarci.
Si andava nel parco a cercare legna, nonostante i divieti e le minacce ed è in un’occasione simile che fui catturato. E’ il 29 dicembre e c’è un chiaro di luna incredibile quella sera lungo il muro del parco. Mi trovo con alcuni amici vicino alla Trattoria del Cervo, che oggi non c’è più, a cento metri dal cancello di viale Cavriga.
Tiriamo una carriola con la legna. All’improvviso arriva un camion di fascisti, ci vedono, sparano e ci ordinano di fermarci.
Sparano a raffica anche da casa Daelli, il cui proprietario, detto “Reseghen”, era molto conosciuto in paese. Mi butto sotto la carriola che mi ripara dai proiettili. Poi mi prendono, sono almeno quattro che mi puntano in faccia la canna delle mitragliette.
Vengo ammanettato con una catena, issato sul camion e portato, con gli altri, al campo di aviazione di Arcore. Qui sono picchiato e insultato, in particolare da un fascista che cammina zoppicando. I molti fascisti presenti ci urlano “partigiani del c…!” e noi rispondiamo”fascisti di merda!”.
Ci sono anche soldati tedeschi di una divisione di Bolzano che cercano di dividerci. All’una di notte, con il camion, ci portano a Milano, alla caserma di via Pace. Mi sbattono in una camerata con molti ragazzi del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile clandestina del Partito comunista, con i quali passo tre giorni, faccio amicizia e vengo definito il “partigiano di Arcore”.
Il 2 gennaio 1945 mi trasferiscono a San Vittore, sesto raggio, cella 127, numero di matricola 1060, detenuto politico. Ho due compagni di cella, un sessantenne e un ragazzo di diciassette anni. Conosco Franz, noto come “il carnefice di San Vittore”, dal quale un giorno prendo due grosse sberle che mi fanno cadere per terra. Quasi ogni notte vengono messe in scena finte partenze per la Germania, mentre tutti i giorni ci fanno uscire nel cortile del raggio per lunghe camminate in tondo.
Il 17 gennaio partenza per Verona prima e per Bolzano poi, che con Fossoli e la Risiera di Trieste è uno dei pochi campi di concentramento italiani. A febbraio partenza per la Germania.”

NEL LAGER/FATTORIA, POI A CASA A PIEDI
Bramati finisce a Templin, nel Brandeburgo, la regione a nord di Berlino confinante con la Polonia.
Il lager è costituito da grossi capannoni, ma i deportati italiani sono alloggiati in una fattoria. “Dormivamo in 18 in una stalla, lavoravamo per molte ore con i contadini del posto; coltivavamo orzo, si mangiava pochissimo, ma probabilmente qualcosa di più rispetto a quelli che erano finiti in campi di concentramento più grossi e organizzati”.
A metà aprile comincia la smobilitazione. Da est stanno arrivando i russi, i tedeschi cominciano ad avere una paura folle.
“A fine aprile ce ne siamo andati da Templin in 15 circa attraversando città semidistrutte, ospedali abbandonati, sotto gli ultimi bombardamenti con l’assillante ricerca di qualcosa da mangiare, soprattutto patate e galline. Avevamo deciso di farcela tutta a piedi, circa 1000 chilometri: alla partenza ci siamo tirati dietro un carretto pieno di patate.
Però, arrivati a Berlino, ci hanno avviato al campo di raccolta di Bernau, un sobborgo della capitale tedesca che era praticamente rasa al suolo. Le ferrovie non funzionavano, così, sempre a piccoli gruppi, lasciata Bernau, ci siamo diretti verso sud, verso casa. Ci sono voluti tre mesi per arrivare a Innsbruck e poi al Brennero. Il 12 settembre ero a Milano.
Quel giorno compivo 22 anni”.